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sabato, Aprile 20, 2024
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Telefonino trovato in carcere, accuse cadute per Giovanni Ascione

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Su di lui pendeva la pesante accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso per aver agevolato il clan Mazzarella. E invece lo scorso ottobre per il 35enne di Portici Giovanni Ascione era arrivata una condanna decisamente soft: tutto merito del suo legale, l’abile avvocato Paolo Gallina, che è riuscito a ridimensionare fortemente le accuse per il suo assistito (leggi qui l’articolo). Per Ascione era poi arrivata un’altra accusa, quella di aver utilizzata un telefonino dietro le sbarre del carcere. Anche in questo caso però Ascione ha visto sgretolarsi le accuse a suo carico con l’avvocato Gallina che, insieme al collega Angelo De Falco (dello studio legale Gallina), sono riusciti a dimostrare che non vi fosse alcuna prova dell’utilizzo di quel telefonino visto che lo strumento mancava di scheda sim. Ragion per cui Ascione è stato scagionato da ogni accusa. I suoi legali hanno eccepito che non vi fosse dunque alcun elemento atto a giustificare l’utilizzo dell’apparecchio.

Il blitz che portò all’arresto di Ascione

Era il 2020 quando la Dda di Salerno aveva dato il via ad un blitz che portò all’arresto di dieci persone: l’inchiesta verteva su un’ipotesi di riciclaggio di denaro sporco dove ad operare erano il clan Cuomo di Nocera Inferiore e i Mazzarella, storico clan di Napoli est. Al centro di tutto due episodi in particolare, l’esplosione di una bomba carta e il riciclaggio di 25mila euro, poi sfociato in un’estorsione, con violenze fisiche e vessazioni psicologiche ai danni di una negoziante e l’interessamento del clan Mazzarella.

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Le accuse contro Ascione smontate dal suo legale

La prima indagine scaturì dall’esplosione di una bomba carta avvenuta la notte 21 gennaio 2020 che danneggiò un bar a Nocera Inferiore. L’attentato dinamitardo, secondo l’accusa, rientrava in un disegno estorsivo finalizzato ad impedire alla stessa società di aprire un ulteriore punto vendita in corso Vittorio Emanuele. L’intimidazione, attuata con la regia di Cuomo, aveva lo scopo di preservare dalla concorrenza un altro esercizio commerciale, anch’esso ubicato in corso Vittorio Emanuele, luogo di ritrovo abituale dei componenti del gruppo Cuomo e il cui titolare è risultato in contatto con il vertice del sodalizio. L’atteggiamento degli indagati alla fine, servì per giungere all’obiettivo: i soci, alla luce delle minacce subite, rinunciarono a realizzare il secondo punto vendita. Ascione entrò nell’inchiesta in seguito ad una serie di intercettazioni, accuse tutte smontate dall’avvocato Gallina che ha poi ottenuto per il suo assistito una condanna a soli due anni in riferimento ad una frode informatica.

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