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venerdì, Aprile 19, 2024
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Ucciso per aver denunciato il pizzo del clan dei Casalesi, processo inizia con il rinvio

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È iniziato per essere subito rinviato al prossimo 15 ottobre, alla Corte d’Assise d’Appello di Napoli, il processo a carico di Francesco Cirillo, accusato di aver preso parte all’omicidio di Domenico Noviello, l’imprenditore ucciso a Castel Volturno il 16 maggio del 2008 dai killer dell’ala stragista dei Casalesi perché aveva denunciato e fatto arrestare anni prima gli estorsori del clan, tra cui proprio Cirillo.

Per il delitto Noviello sono già stati condannati a pesanti pene detentive, diventate definitive, mandanti ed esecutori materiali, ovvero Giuseppe Setola e i suoi sicari, in totale nove persone; l’unico ad essere assolto in appello è stato proprio Francesco Cirillo, che aveva però rappresentato il «pretesto» per uccidere Noviello. Lo stesso Setola, nel corso del processo di primo grado per il delitto dell’imprenditore, aveva affermato di aver ordinato «l’omicidio di Noviello perché aveva mandato in carcere Francesco Cirillo».

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La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione per Cirillo rinviando ad un’altra sezione della Corte di Appello di Napoli perché valutasse meglio le prove a suo carico. Cirillo fu arrestato per estorsione all’inizio degli anni 2000, su denuncia di Noviello e del figlio Massimiliano, assieme a quattro esponenti del clan dei Casalesi, ma fu l’unico ad essere condannato a quattro anni di carcere; gli altri estorsori furono assolti, tra questi il cugino Alessandro Cirillo, detto «ò sergente», elemento di spicco della cosca poi diventato luogotenente di Setola e assurto tra i protagonisti della stagione del terrore, datata 2008, che nel Casertano costò la vita a 18 persone, tra cui lo stesso Noviello e i sei ghanesi della strage di San Gennaro. La vecchia condanna presa da Cirillo ha dunque costituito il pretesto «ripescato» da Setola per vendicarsi di Noviello, seminare il terrore e costringere così anche gli altri imprenditori a pagare il pizzo; è questa la strategia che si celava dietro i delitti, emersa durante i processi istruiti dopo gli omicidi del 2008.

Oggi nell’aula della Corte d’Assise d’Appello di Napoli Francesco Cirillo, che è libero, era assente, mentre erano presenti i quattro figli di Domenico Noviello: c’erano Massimiliano, Mimma, Rosaria e Matilde, che dopo la morte del padre hanno intrapreso un percorso volto a far conoscere all’opinione pubblica, soprattutto agli studenti, la vicenda del papà imprenditore che con coraggio aveva sfidato il clan in un periodo in cui nessuno lo faceva. «C’era tanta gente e partecipazione questa mattina, e ciò è positivo – dice Mimma Noviello – però ho riprovato quelle brutte sensazioni già vissute quando Cirillo fu assolto e liberato. Spero solo che questo processo finisca presto con la condanna dell’imputato».

«Forti emozioni e tanto nervosismo» per Massimiliano Noviello, primogenito dell’imprenditore, che nel 2001, assieme al papà, denunciò Cirillo, che era venuto a chiedere il pizzo nell’autoscuola di proprietà. «È l’unico a non essere stato condannato, eppure è stato lui la causa dell’omicidio di mio padre. Credo nella giustizia, spero nella sua condanna». Presenti in aula i rappresentanti di Libera – una delegazione di Libera Padova era fuori – del Comitato don Diana, del Fai (Federazione delle Associazioni Antiracket), e Paolo Miggiano, autore del libro su Noviello, «L’Altro Casalese».

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