Un accordo tra due gruppi per eliminare un potenziale pericolo: quello di un possibile pentimento. E così i De Micco e una paranza dei Quartieri spagnoli tentarono di risolvere la questione a modo loro. Questo il racconto del progetto di omicidio di Antonio Pipolo, l’ex killer del clan di Ponticelli che da quando ha iniziato a collaborare con la giustizia con le sue rivelazioni ha contribuito a colpire al cuore i due gruppi.
“Volevano uccidermi”, il pentito contro il clan De Micco-De Martino
Pipolo ha raccontato di essere finito nel mirino del suo stesso clan che addirittura aveva contattato persone dei Quartieri spagnoli per ucciderlo. Tra questi anche Dylan Di Biasi, figlio dell’ex boss Renato, che in questo provvedimento non è però indagato. A raccontarlo lo stesso Pipolo: ”Faccio parte del clan De Micco, e ho saputo che sabato mattina c’era stato un summit tra i De Micco, i De Martino, i Mazzarella e i De Luca Bossa nel corso del quale hanno deciso di uccidermi perché ritenevano che io fossi quello più debole, nel senso che in caso di arresto avrei potuto collaborare con la giustizia. Avevano deciso di uccidermi fingendo che ci fosse una rissa nella discoteca C.P, all’interno dell’ippodromo. Preciso che il fatto che volessero uccidermi perché temevano che io in caso di arresto avrei potuto collaborare con la giustizia è una mia supposizione”.
La soffiata che salvò Pipolo
Come svelato da Pipolo a salvarlo fu la soffiata fatta da Gesualdo Sartori detto Aldo, reggente dei Mazzarella: “Al summit ha partecipato una persona che mi ha salvato la vita, è stato il mio angelo custode, Aldo Sartori. Questi mi ha mandato una ragazza una sera in discoteca che mi ha fatto capire che dovevo allontanarmi. Quella sera ero con Umberto Dello Iacolo, Velotti e due ragazzi dei Quartieri e uno di loro chiamato Dylan Di Biasi avevo già notato che voleva fare amicizia. Questi mi si è avvicinato mostrandomi una pistola calibro 38 e chiedendomi se potevo dargli un passaggio a casa. Cosa che non feci. In giro nel quartiere si diceva che Carmine D’Onofrio lo avevo ucciso e per gli altri clan ero io quello più pericoloso dei De Micco e dunque la persona da eliminare. Dunque, poiché ero l’unico a non essere stato arrestato per l’omicidio di Carmine D’Onofrio, oltre a D’Apice Ciro Ivan, pensavano che in caso di arresto avrei collaborato”.