L’ex boss collaboratore di giustizia Giovanni Brusca ha lasciato definitivamente il carcere. Il capomafia che azionò il telecomando della strage di Capaci e decise l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. E’ il figlio del pentito che per primo svelò i segreti della stagione stagione stragista del 1992, ha scontato la sua bene ed è tornato in libertà. La vicenda ha generato molte reazione, fra cui quella di uno dei diretti interessati, Santino Di Matteo, padre e vittima dell’atroce vendetta.
Le parole di Santino Di Matteo, papà di Giuseppe Di Matteo
L’uomo non riesce a tollerare che lo Stato italiano restituisca la libertà a “questa feccia dell’umanità”. Parla da una località segreta l’ex mafioso di Altofonte che Giovanni Brusca, con il fratello Enzo, per conto del padrino di un tempo, Totò Riina, voleva zittire. Nel peggiore dei modi. Ci provarono sequestrando per quasi due anni il ragazzino, trasferito da casolare in casolare con una catena al collo fino a quando Brusca, vinto dalla resistenza di un padre deciso a collaborare con lo Stato, non diede l’ordine di fare sparire ogni traccia del piccolo. È questa la storia che tormenta Santino Di Matteo, stanco di passare da un tribunale all’altro: “Dopo trent’anni mi fanno ancora testimoniare ai processi. Io vado per dire quello che so. Ma a che cosa serve se poi lo stesso Stato si lascia fregare da un imbroglione, da un depistatore?”, afferma ai microfoni del Corriere della Sera.
Brusca scarcerato
Santino Di Matteo, il pentito vittima dell’atroce vendetta, non può tollerare che lo Stato rimetta in libertà «questa feccia dell’umanità». Parla da una località segreta l’ex mafioso di Altofonte che Giovanni Brusca, con il fratello Enzo, per conto del padrino di un tempo, Totò Riina, voleva zittire. Nel peggiore dei modi. Sequestrando per quasi due anni quel ragazzino trasferito da casolare in casolare con una catena al collo fino a quando Brusca, vinto dalla resistenza di un padre deciso a collaborare con lo Stato, non diede l’ordine di fare sparire ogni traccia del piccolo aspirante fantino. È questa la storia che tormenta Santino Di Matteo, stanco di zompare da un tribunale all’altro: «Dopo trent’anni mi fanno ancora testimoniare ai processi. Io vado per dire quello che so. Ma a che cosa serve se poi lo stesso Stato si lascia fregare da un imbroglione, da un depistatore?».
Da collaboratore di giustizia, sostiene che la giustizia non funziona
«Non trovo le parole per spiegare la mia amarezza. A chi devo dirlo? È passato meno di un anno da quando avevano liberato un carceriere di mio figlio, a Ganci, il paesino delle Madonie, uno dei posti del calvario. Ma la verità è che tutti i sorveglianti e gli aguzzini della mia creatura sono liberi. Tutti a casa. E ora va a casa pure il capo che organizzò e decise tutto. Lo stesso boia di Capaci. Si può dire boia? Lo posso dire io?».
La norma consente la liberazione. Diciamo che la legge è uguale per tutti…
«La legge non può essere uguale per questa gente. Brusca non merita niente. Oltre mio figlio, ha pure ucciso una ragazza incinta di 23 anni, Antonella Bonomo, dopo avere torturato il fidanzato. Strangolata, senza motivo, senza che sapesse niente di affari e cosacce loro. Questa gente non fa parte dell’umanità».