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venerdì, Aprile 19, 2024
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Mafia, maxi operazione all’alba: confisca da 40 milioni per gli eredi dei “Corleonesi”

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I finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, coordinati dalla
Procura della Repubblica di Palermo, stanno eseguendo la notifica del provvedimento,
emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, di confisca
connesso agli investimenti della mafia corleonese nelle società di distribuzione del gas,
disposta su numerosi beni mobili e immobili, aziende, disponibilità finanziarie, contanti e
preziosi, in Italia, Spagna e Andorra (EE).

Il decreto di confisca è stato disposto nei confronti di D’ANNA Maria cl. ‘46 e delle figlie
BRANCATO Monia cl. ‘73 e BRANCATO Antonella cl. ‘82, rispettivamente, vedova e
figlie di BRANCATO Ezio Ruggero Maria, (deceduto nell’anno 2000), ex funzionario della
Regione Sicilia fino al 1981, il quale aveva effettuato nel corso degli anni investimenti in
alcune imprese palermitane, coinvolte, a partire dagli anni ’80, nel complesso processo
politico imprenditoriale che ha portato alla realizzazione della rete di metanizzazione in
Sicilia, nonché ai profitti derivanti dalla loro gestione e successiva vendita, avvenuta nel
gennaio 2004, a favore della multinazionale spagnola “Gas Natural”, per un valore di oltre
115 milioni di euro, di cui oltre 46 milioni rappresentavano il profitto della cessione delle
quote pagato a D’ANNA Maria e alle figlie BRANCATO Monia e Antonella.
In particolare, il BRANCATO Ezio Ruggero Maria era socio di sei società facenti capo al
cosiddetto “Gruppo gas” con sede a Palermo, ritenute, come accertato dalle indagini nel
tempo eseguite, sotto il controllo dei noti esponenti mafiosi CIANCIMINO Vito e
PROVENZANO Bernardo.

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Le numerose e convergenti propalazioni di collaboratori di giustizia e di atti riguardanti le
imprese interessate hanno evidenziato la contiguità di BRANCATO Ezio Ruggero Maria e
dei suoi eredi a Cosa Nostra, attraverso le partecipazioni dagli stessi detenute nel “Gruppo
Gas”.
In particolare, i diversi collaboratori di giustizia hanno riferito che il “Gruppo GAS” era
un’espressione di CIANCIMINO Vito, il quale era – scrivono i giudici del Tribunale –
“l’interfaccia dei noti RIINA Salvatore e PROVENZANO Bernardo”.
In tale ottica, il citato “Gruppo Gas”, attraverso i sub appalti concessi ad imprese vicine alla
criminalità organizzata, avrebbe interagito con Cosa Nostra in una logica di “reciproco
vantaggio”, atteggiandosi come una “impresa collusa mafiosa”, tale da ritenere il condizionamento mafioso esteso all’intera compagine sociale del medesimo “Gruppo
Gas”. La gestione mafiosa del “Gruppo Gas” da parte di D’ANNA Maria e della di lei figlia
BRANCATO Monia, deve considerarsi decisiva affinché alle imprese potesse attribuirsi il
valore di vendita poi concordato con gli spagnoli della GAS NATURAL.
Analoghe risultanze investigative avevano determinato il sequestro dei beni nella
disponibilità di CIANCIMINO Massimo (figlio di Vito), considerati proventi della cessione
delle quote del “Gruppo Gas” intestate al prestanome LAPIS Gianni (socio storico di
BRANCATO Ezio), avendo ritenuto che la costituzione e gestione delle società del
“Gruppo G.A.S.”, in passato, abbia rappresentato interessi di natura mafiosa.

Il frutto della maxi operazione di vendita delle società del Gas è stato quindi reinvestito in
società, mobilità finanziare, ma soprattutto in immobili di grande pregio a Palermo (fra i
quali spiccano un intero palazzo con vista sul teatro Massimo, un attico sul Giardino
Inglese, ed altri in via Dante o in zona Notarbartolo), in Sardegna (in Costa Smeralda nella
nota Cala del Faro ad Arzachena) ed all’estero.
Inoltre il lavoro di ricostruzione dei flussi finanziari ha consentito di individuare il patrimonio
della famiglia BRANCATO in Spagna e quello illecitamente detenuto nel Principato di
Andorra, Paese con il quale è stata avviata dallo stesso Procuratore Capo di Palermo una
cooperazione giudiziaria che ha aperto per la prima volta alla collaborazione attiva con
l’Italia.
Sono stati pertanto rinvenuti, celati nei caveau delle banche pirenaiche, intestati a terze
persone e società di comodo, rapporti bancari e cassette di sicurezza che contenevano
decine di preziosi monili e migliaia di euro in contanti.
La stima del valore dei beni complessivamente confiscati, allo stato ancora in corso di
definizione, ammonta ad oltre 40 milioni di euro e riguarda: 6 aziende commerciali con sede in Italia e Spagna; 5 quote societarie detenute da società italiane; 59 immobili di pregio situati sul territorio Italiano (Sicilia – Palermo, Sardegna – Costa
Smeralda) e spagnolo (Barcellona); 4 autovetture (di cui n. 03 in territorio spagnolo);
1 motoveicolo; 118 rapporti finanziari detenuti in Italia, Spagna e Principato di Andorra;
crediti vantati nei confronti di persone giuridiche e persone fisiche; denaro contante.

Le attività di indagine condotte dal Nucleo di P.E.F. di Palermo in collaborazione con lo
S.C.I.C.O. della Guardia di Finanza, cui fa riferimento il provvedimento di confisca,
rientrano nella strategia adottata dalla Procura della Repubblica di Palermo per rinvenire le
ricchezze accumulate dalla mafia corleonese ed i soggetti a questa vicini negli anni,
facendole così assumere al patrimonio dello Stato.

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