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martedì, Aprile 23, 2024
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Azzerato il vertice del clan Moccia, i capi comandavano anche dal carcere: a Roma l’ala imprenditoriale, a Napoli quella militare

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I capi del clan Moccia avrebbe dato direttive anche dal carcere. E’ quanto emerso dalle indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli e culminate nell’esecuzione di un’ordinanza nei confronti di 57 indagati da parte dei Carabinieri del Ros e dai finanzieri del Gico di Napoli. L’indagine, coordinata con la locale procura, ha interessato il clan mafioso capeggiato da fratelli Angelo, Luigi e Antonio Moccia, insieme al cognato Filippo Iazzetta. Anche dal carcere – e dopo il trasferimento di Angelo e Luigi a Roma – il clan ha continuato a controllare in maniera capillare i territori di Afragola e dei comuni limitrofi. L’organizzazione mafiosa dispone naturalmente di un’ala militare. Ma può contare anche su un’ala imprenditoriale. Quest’ultima è molto attiva nel campo del recupero degli oli esausti di origine animale o vegetale di tipo alimentare. Il clan Moccia è presente anche nel recupero di scarti di macellazione. E infine nel settore dei grandi appalti ferroviari, inclusa l’alta velocità.

Assieme ai Ros si è mossa anche la Guardia di Finanza che ha sequestrato beni mobili, immobili e quote societarie pari a un valore di circa 150 milioni di euro. Le Fiamme Gialle inoltre hanno eseguito altre due misure del divieto temporaneo di esercitare attività d’impresa.

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Tra gli arrestati c’è anche Andrea Guido, consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Lecce. È accusato di aver favorito appalti a personaggi vicini al clan Moccia. Stessa accusa mossa all’ex consigliere comunale (col centrodestra) di Bari Pasquale Finocchio, uno degli altri arrestati. Gli vengono contestati fatti risalenti al 2017. Per gli inquirenti avrebbe fatto da mediatore con gli imprenditori, sfruttando il suo ruolo politico-istituzionale. I due politici ora si trovano agli arresti domiciliari.

Le contestazioni

I carabinieri hanno contestato agli indagati numerosi reati: associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, ricettazione, favoreggiamento, aggravati dalla finalità di agevolare il clan Moccia.

La piovra era capace di veicolare messaggi anche dall’interno del carcere. Emerge anche questo dalla maxi ordinanza di custodia cautelare eseguita questa mattina dai carabinieri nei confronti di 57 indagati ritenuti gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione, porto e detenzione illegale di armi da fuoco il tutto per agevolare il clan Moccia.

Da chi è formato il Clan Moccia?

Parliamo di uno dei clan più antichi della Camorra, che nell’ultima guerra tra clan avrebbe preso il posto del Clan Magliulo. I Moccia operano nei comuni di Calvano, Arzano, Casoria, Afragola e nella zona Nord di Napoli ma, secondo gli inquirenti, sarebbero presenti anche nel Lazio. Il fondatore del Clan è Gennaro Moccia, che venne ucciso nel 1974 da alcuni membri di clan rivali, passando così il potere ad Anna Mazza. È stata lei la prima donna nel nostro paese ad essere processata per reati di mafia.

Dopo la scomparsa di Anna Mazza nel 2017, il controllo del clan sarebbe passato ad Angelo, Luigi, Antonio e Filippo Lazzetta, marito di Teresa Moccia. I quattro uomini si spartiscono il potere in base ai periodi in carcere, o di latitanza, che sono “costretti” a vivere. Poi ci sono una serie di sottoposti e reggenti, da Puzio a Nobile fino a Pierino Iodice, che si dividevano gli affari illeciti nei vari comuni di influenza, come Casoria, Afragola, Frattamaggiore, Acerra, Caivano.

Il ruolo dei Moccia e del cognato Filippo Iazzetta

L’indagine ha consentito di acquisire gravi indizi circa l’esistenza e l’operatività dell’organizzazione mafiosa, strutturata in modo vertiistico e organizzata su diversi livelli di comando e di competenza territoriale, della quale sono ritenuti capi i fratelli AngeloLuigi e Antonio Moccia e il loro cognato Filippo Iazzetta, i quali, anche in stato detentivo e sebbene i citati Angelo e Luigi si fossero da tempo trasferiti nella città di Roma, avrebbero veicolato ordini agli affiliati, a vario livello a loro subordinati, anche promuovendo all’occorrenza specifici reati fine, consumati sia dai vari sottogruppi territoriali costituenti l’ala militare dell’organizzazione, sia da imprenditori attivi nel settore del recupero degli olii esausti di origine animale/vegetale di tipo alimentare e degli scarti di macellazione, nonché nei grandi appalti ferroviari e dell’alta velocità, cui avrebbero impartito direttive e fornito ingenti provviste derivanti dall’accumulazione illecita, nel tempo, di ingenti capitali.

 

L’attività investigativa ha portato 36 persone in carcere, 16 ai domiciliari e all’emissione di cinque divieti temporanei di esercitare attività d’impresa. L’ordinanza è stata firmata dal gip Maria Luisa Miranda; nel documento si contestano, a vario titolo: associazione mafiosa, estorsione, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio, fittizia intestazione di beni, corruzione, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, ricettazione, favoreggiamento, reati aggravati dalla finalità di agevolare il clan Moccia. Contemporaneamente, il Gico della Guardia di finanza ha notificato altri due divieti temporanei di esercitare attività d’impresa e sequestrato, d’urgenza, beni mobili, immobili e quote societarie per un valore complessivo pari a 150 milioni di euro.

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