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giovedì, Aprile 25, 2024
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Tentarono di uccidere il nipote del boss:«L’agguato fu la ‘risposta’ all’omicidio di Vittorio Vastarello»

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Il tentato omicidio di Giovanni Sequino, nipote dei boss Salvatore e Nicola Sequino, è stato raccontato ai magistrati da Daniele Pandolfi, da pochi mesi collaboratore di giustizia e in passato organico al clan Vastarella. Il giovane ha spiegato che l’obiettivo del raid, una risposta all’omicidio di Vittorio Vastarello (nipote del boss Patrizio), doveva essere un elemento di vertice del clan atteso che la persona che rimarrà poi ferita, Giovanni Sequino appunto, era totalmente estranea alle logiche camorristiche:«Il vero obiettivo era Enrico La Salvia detto “Zepechegno”, in quanto membro del clan Sequino, che come ho già detto era a bordo, come passeggero, del motoveicolo condotto da Giovanni Sequino detto “O’Pallino”, persona estranea al clan Sequino. In realtà, su sua domanda, chiarisco che il vero obbiettivo era “un uomo qualsiasi del clan Sequino” come decise Patrizio Vastarella in un paio di riunioni che tenne con noi del clan dopo l’uccisione di Vittorio Vastarella. Quando io dico che Patrizio decideva che si “doveva prendere qualcuno”, intendo dire che egli ne decretava la sua morte. Ricordo che in queste due riunioni Antonio Vastarella decise di eseguire lui l’agguato contro il volere di Patrizio; si decise altresì che fosse collaborato da Antonio Stella che doveva guidare il motoveicolo e che lo specchiettista fosse Alessandro Pisanelli, detto “O’Veloc”, che avrebbe dovuto segnalare la presenza di un qualsiasi uomo dei Sequino nella Sanità ad Antonio Vastarella. Ricordo pure che in quel periodo non avevamo a disposizione nessun veicolo di provenienza illecita e si decise di utilizzare il motoveicolo SH 300 intestato al defunto Vittorio Vastarella ma in uso agli uomini del clan; fu invece una decisione di Antonio Vastarella quella di travisarsi con una parrucca, che fece acquistare da Galasso Gelsomina, madre di Fabio Vastarella.

Su sua domanda preciso che in quelle riunioni Patrizio suggerì ad Antonio di appoggiarsi nell’abitazione di Galasso Gelsomina perché è sita al vico Lammatari che si trova proprio difronte alla roccaforte dei Sequino a via Arena alla Sanità- via S. M. Antesaecula. Dopo due o tre giorni, che il piano era stato deciso, si organizzò l’agguato che fu eseguito da Antonio Vastarella. Se ricordo bene, egli usò una pistola calibro 7,65, su segnalazione di Alessandro Pisanelli che si trovava sul balcone di casa sua, che è sita alla via Arena alla Sanità difronte al bar La Brasiliana; dopo l’agguato quelli del clan Sequino spararono sotto il balcone di Alessandro Pisanelli.

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Quanto vi sto dicendo, me lo ha riferito direttamente Antonio Vastarella al quale chiesi conto del motivo per cui era stato sparato Giovanni Sequino detto “O’Pallino”, persona era estraneo al clan, poiché tale ferimento mi metteva in difficoltà con i membri della mia famiglia, ossia mio padre e mio fratello, che vivono lì vicino, luogo controllato dai Sequino, che potevano a loro volta essere esposti ad azioni di vendetta da parte di costoro. Antonio mi rispose che l’attentato andava eseguito comunque e che l’errore lo aveva commesso Alessandro Pisanelli nel fargli la chiamata col telefonino che, invece, non avrebbe dovuto fargli proprio per la presenza di una brava persona. Aggiunse che non era riuscito a sparare ad Enrico La Salvia perché era scappato e si era rifugiato in una salumeria. Antonio mi ribadì che a guidare il motoveicolo su cui si trovava era stato Antonio Stella e mi confermò che aveva usato una parrucca per travisarsi. Ricordo che era presente anche Antonio Stella che ironizzò sul travisamento scelto da Antonio Vastarella dicendogli che sembra come Platinet. Non so se anche Antonio Stella fosse travisato con una parrucca».

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