Il clan Lo Russo non esiste più. A ribadirlo, durante l’interrogatorio di garanzia, Giuseppe Lo Russo, per trent’anni insieme ai fratelli padre-padrone di tutti gli affari criminali di Miano e dintorni. L’ormai ex boss, dopo oltre ventidue anni di carcere duro, ha deciso di dissociarsi, scelta che già aveva manifestato durante l’interrogatorio di garanzia per un altro omicidio (al momento vige il segreto istruttorio) e che ha ribadito al pubblico ministero titolare dell’inchiesta dell’omicidio di Espedito Ussorio, ex cutoliano ucciso dagli uomini dei ‘capitoni’ e dei Licciardi quando all’epoca stavano insieme. Lo Russo (nel suo collegio difensivo gli avvocati Antonio Abet, Andrea Lucchetta e Saverio Senese) in pratica ha ammesso gli addebiti ribadendo che ormai il suo clan non esiste più e che «Con la camorra ho chiuso da tempo, adesso la mia vita è cambiata». Diversa invece la scelta del fratello Domenico (coindagato per l’omicidio Ussorio) che invece davanti al giudice per le indagini preliminari è rimasto in silenzio confermando la sua fama di ‘irriducibile’.
Sia chiaro, non si tratta di un pentimento: l’ex padrino non ha intenzione di fare nomi di gregari e colonnelli del clan ma solamente di confessare le proprie responsabilità in merito ai fatti di sangue e agli affari illeciti che l’hanno visto protagonista. Una scelta quindi diversa rispetto a quella dei fratelli Salvatore, Mario e da ultimo di Carlo Lo Russo che ha fatto luce su alcuni delitti in cui proprio Giuseppe è coinvolto. Una scelta che arriva, guarda caso, in concomitanza con i nuovi striscioni offensivi e minatori contro la famiglia criminale che per trent’anni ha retto le redini criminali. Quella frase ‘Ztl Lo Russo’ che sembra adesso indicare lo stop definitivo all’epopea dei ‘capitoni’.
