Ucciso per sbaglio dal clan Polverino e poi sciolto nell’acido. Nuovo capitolo del processo per l’omicidio di Giulio Giaccio ucciso dopo un clamoroso scambio di persona: ieri mattina dinnanzi alla Corte d’Assise d’appello di Napoli i presunti mandanti di quel delitto, già condannati a trent’anni in primo grado, Salvatore Cammarota e Carlo Nappi, hanno offerto un risarcimento alla famiglia della vittima e alle parti civili tra cui la fondazione Polis.
Ucciso e sciolto nell’acido, i boss offrono un risarcimento
Il processo di primo grado aveva visto la condanna a 30 anni per i due colonnelli del clan di Marano mentre il collaboratore di giustizia Roberto Perrone aveva incassato 10 anni. Sempre per l’omicidio Giaccio sono imputati, per un altro filone, Salvatore Simioli, Raffaele D’Alterio e Luigi De Cristofaro indicati come gli esecutori materiali.
Il giovane Giulio Giaccio, in quella terribile notte del 30 luglio 2000, fu prelevato da finti poliziotti sopraggiunti a bordo di un’autovettura Fiat Uno di colore bordeaux, mentre si trovava in piazzetta Romano – a poca distanza dalla propria abitazione – senza fare più ritorno a casa. Al momento del “sequestro” il giovane non era solo, ma un suo amico, notiziò subito i familiari dell’accaduto. Nelle ore successive, i familiari della vittima contattavano tutti i comandi di zona verificando che nessuno aveva proceduto al fermo di Giulio.
Decisive, per offrire un quadro definitivo al cold case dei Camaldoli, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia tra cui Giuseppe Simioli e Roberto Perrone, il primo a parlare di quella notte in un lungo verbale: «Come ho detto, a bordo del veicolo c’erano due pettorine con le scritte della Polizia o dei Carabinieri, non ricordo bene, che indossammo io e Simioli Salvatore, mentre il De Cristofaro conduceva il nudo ed il D’Alterio era seduto sul sedile posteriore. Raggiungemmo la piazzetta antistante la chiesa dei Romani scendemmo dalla vettura e ci avvicinammo al giovane a bordo della Transalp chiedendo se fosse Salvatore. Questi rispose di chiamarsi Giallo chiamandomi “comandante” e scambiandomi evidentemente per il capo pattugli ed io ribattei che doveva seguirci in caserma per un semplice controllo”.
E poi ancora: “Il giovane fu caricato in auto e fatto accomodare al centro tra D’Alterio e Simioli. Giunti alla curva del parco Oasi sentì il D’Alterio rivolgersi al giovane dicendo testualmente ‘Ora devi stare zitto’. Contemporaneamente abbassò la testa tra le sue ginocchia e gli esplose un colpo di arma da fuoco alla testa. Sorpreso dall’esplosione urlai al D’Alterio di cosa avesse fatto e questi senza scomporsi rispose che me lo avrebbe spiegato successivamente Salvatore Cammarota. Scesi dall’auto insieme agli altri occupanti mentre il corpo del povero ragazzo era sul sedile posteriore. D’Alterio scendendo e rivolto al Cammarota disse ‘Sta nella macchina quell’uomo di merda’. Cammarota si avvicinò allo sportello e dopo averlo aperto sferrò un calcio all’indirizzo del corpo senza vita del giovane dicendo testualmente ‘E tu eri l’uomo che si doveva chiavare mia sorella’».