Chiunque pensa per un attimo a Il Camorrista non può fare altro che associarlo a Raffaele Cutolo, il capo indiscusso della Nco a cui è di fatto ispirata l’opera di Giuseppe Tornatore.
Il film comincia però con una palese bugia come contraddizione evidente di quella che era la realtà dei fatti. L’auto in panne del Professore sotto la pioggia e la sorella che viene palpeggiata mentre spingeva il mezzo dinanzi ad un bar da un giovane del posto. Fatto, questo che aveva portato alla reazione armata del Professore che ammazzò il compaesano, reo di aver mancato di rispetto alla donna.
Una scena che quasi giustifica il Professore dinanzi al pubblico, una sorta di azione comprensibile per salvaguardare l’onorabilità della sorella. Un credito che poi il vesuviano disperderà nel corso della pellicola con stragi e spargimento di sangue senza precedenti.
La realtà è però ben diversa e non lascia alcuna attenuante all’alter ego camorrista.
La storia criminale di Raffaele Cutolo inizia nel 1963 con l’omicidio di un ragazzo del suo stesso paese, Michele Viscido. Raffaele Cutolo
percorreva il viale principale di Ottaviano con l’auto in panne per mancanza di benzina. Era l’ora del passeggio e, nella confusione, urtò leggermente le gambe di una ragazza, Nunzia Arpaia. La ragazza protestò, lui la schiaffeggiò e ne nacque una lite che coinvolse altre persone. Cutolo sparò e uccise Viscido, poi scappò per presentarsi due giorni dopo alle forze dell’ordine. Per questo reato Cutolo fu condannato all’ergastolo, pena ridotta in appello a 24 anni di reclusione.
Chissà come sarebbe stato visto Cutolo dai cinefili se Tornatore si fosse attenuto a riportare fedelmente i fatti del primo omicidio. Questa è però una domanda che rimarrà per sempre senza risposta
