Il clan Amato-Pagano sembra avere un’anima femminista, invece, non ha mai mostrato alcuna intenzione di combattere le battaglie per l’emancipazione delle donne. Tutto iniziò con gli arresti dei boss melitesi, Lello Amato e Cesare Pagano, condotti in seguito alla guerra di camorra tra il clan Di Lauro e gli Scissionisti. Quel vuoto di potere venne colmato da Rosaria Pagano, detta Rosetta ‘a terrorista o zia Rosaria.
La donna è la madre dei ras Carmine e Raffaele Jr Amato, nonché sorella del boss Cesare. Lei ereditò il potere scissionista nel 2014 in seguito all’arresto di Mariano Riccio, genero del capoclan detto Cesarino. Zia Rosaria riesce a riportare pace tra la fazione Amato e quella Pagano, inoltre, cambia l’organigramma del clan individuando diversi referenti sui territori.
Da figlia di zia Rosaria a reggente del clan Amato-Pagano
Il potere di Rosetta finì con il suo arresto nel gennaio 2017. Dopo la reggenza di Marco Liguori, nipote acquisito del fondatore Lello Amato, dal luglio 2021 la guida del clan sarebbe stata affidata a Debora Amato. Insieme alla 34enne gestivano il clan anche Gennaro Liguori (marito della nipote di Raffaele Amato, classe ’65); il marito di Debora, Domenico Romano, Enrico Bocchetti (genero di Cesare Pagano) e da Emanuele Cicalese (genero di Raffaele Amato, classe ’65).
Nell’ultima indagine che ha colpito gli Scissionisti, la 34enne è stata ritenuta capo e promotore della famiglia camorristica Amato-Pagano. Debora avrebbe, soprattutto, mantenuto i rapporti con i boss detenuti e, anche sulla base delle loro indicazioni e direttive, sarebbe riuscita a dirigere le attività illecite vigilando sul rispetto strategie del clan. Amato avrebbe tenuto stretti i rapporti tra gli altri importanti esponenti della famiglia e gli affiliati storici di rango più elevato.
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Il blitz contro gli Amato-Pagano
Dalla lettura del provvedimento cautelare viene confermato il ruolo di prim’ordine di alcune donne nel clan. È il caso di Monica Amato, anche lei figlia di Rosaria Pagano (vedova di Pietro Amato), che almeno fino a gennaio 2023 avrebbe ricevuto: “Uno stipendio mensile di 8.000 euro in qualità di appartenente alle famiglie egemoni e in rappresentanza delle stesse sul territorio dei capiclan detenuti”.
Emerge dall’indagine della Dia di Napoli, coordinata dalla Dda partenopea, che ha portato alla notifica di 53 misure cautelari e a una serie di sequestri. Gli accertamenti hanno consentito di fare luce anche sulla facilità con la quale gli affiliati detenuti riuscivano a comunicare con quelli liberi, attraverso l’utilizzo dei cellulari, comunicazioni anche finalizzate l’agevolazione dell’introduzione di droga nelle carceri.