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giovedì, Marzo 28, 2024
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Guerra interna al clan:«Iniziò una vera e propria caccia all’uomo tra Melito e Marano»

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Il duplice omicidio di Antonio Ruggiero e Andrea Castiello rientrano nella lotta intestina al clan Amato Pagano, scatenatasi all’indomani della cattura di Mariano Riccio, sino a quel momento capo del clan. La difficile legittimazione del suo potere, atteso il sospetto di un forte nepotismo da parte di Pagano Cesare nella scelta del genero come capo, aveva spinto Riccio Mariano a far assumere ruoli di sempre maggiore importanza ai suoi fedelissimi, denominati “maranesi”, a scapito della vecchia guardia (gli affiliati denominati i “melitesi”), i quali hanno covato la rivincita e le mire di riconquista delle posizioni di vertice, obiettivi che ineluttabilmente dovevano condurre all’epurazione dei “maranesi” ed all’eliminazione fisica dei sodali più vicini al Riccio. Il movente di entrambi gli omicidi, come riconosciuto dal GIP, si inquadra quindi nel contesto dello scontro strisciante tra le due fazioni (trasformatosi poi in faida interna), le cui ragioni di fondo sono rappresentate dalla contrapposizione tra i nuovi ed i vecchi affiliati. La caccia all’uomo si apri immediatamente all’indomani dell’arresto di Riccio, con incursioni armate, azioni violente in pieno giorno nel centro di Melito e di Mugnano, unitamente all’organizzazione di vere e proprie trappole tese a tradimento in cui sono cadute le vittime degli omicidi ricostruiti nell’ordinanza cautelare.

Il 29 luglio del 2016 il pentito Michele Caiazzaraccontò ai pm antimafia ciò che sapeva del delitto: «Antonio Ruggiero è stato ucciso da Francesco Paolo Russo, Angelo Gambino,Francesco Tubelli, Dario e Claudio Amirante. Tubelli ha attirati Ruggiero in una trappola facendolo andare in un posto che non conosco, dove poi è stato ucciso e il corpo buttato non so dove». «Tubelli», ha messo a verbale il pentito, «mi ha detto di aver visto Ruggiero morto. Ma dopo l’omicidio si è impressionato che i suoi complici volessero ucciderlo, per cui è venuto da me, mio fratello Paolo e mio zio Pietro per chiedere aiuto. Ciò che temevano i suoi complici è che lui raccontasse del posto in cui avevano nascosto il corpo. Francesco Tubelli ci raccontò di essersi impressionato perché durante un incontro con loro, gli avevano fatto trovare un cappio di corda. Poi Tubelli ci disse che si sarebbe fatto arrestare con una pistola addosso».

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