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venerdì, Marzo 29, 2024
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Innocente ucciso a Pianura:«Mise in mezzo Lello Pisa ma non c’entrava niente»

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La sentenza è attesa per fine mese. Sarà quello il momento tanto atteso dalla famiglia di Raffaele Pisa, il giovane innocente ucciso dalla mala pianurese il 13 dicembre 2016 in via Giorgio De Grassi a Pianura per un semplice sospetto. Una diceria, una voce che circolava nel quartiere e che spinse i vertici dei Pesce-Marfella a fargliela pagare. Per quell’omicidio, come anticipato da Internapoli, è stato richiesto l’ergastolo per Vitale Perfetto, ex reggente proprio del gruppo, e Maurizio Legnante (leggi qui l’articolo). A dare una chiave di lettura di quel delitto sono arrivate tante dichiarazioni provenienti dai collaboratori di giustizia tra cui quelle di Pasquale Esposito junior:«Io, Salvatore Romano e Vincenzo Mele ci trovammo al Parco San Paolo fuori a una pizzeria. Quando stavamo per andare via ci accorgemmo che non c’era più la nostra moto Dorsoduro. Nei pressi del Bingo ci accorgemmo che la moto era stata intercettata subito dalla polizia anche se i ladri erano scappati. Quando tutto terminò e recuperammo la moto Salvatore Romano disse a Fortunato il parcheggiatore che si avvicinò che a bordo della moto vi erano due pistole, cosa non vera. Lo fece per capire se Fortunato faceva le imbasciate ai Marfella, ma anche per far sapere loro che giravamo armati. Dopo questo episodio Vitale Perfetto mise in giro la voce che Romano era un infame perché la polizia non gli aveva sequestrato le pistole. A questo punto, avuta la certezza che Fortunato avevo portato l’imbasciata ai Marfella, lo picchiammo io, Salvatore Romano, Vincenzo Mele e Marco Battipaglia. Sapemmo che Fortunato andò sotto il balcone di Vitale Perfetto a lamentarsi dicendo che con noi a picchiarlo c’era Raffaele Pisa».

Il movente dell’omicidio di Raffaele Pisa a Pianura

In realtà ‘Lello’ fu ucciso per una voce secondo cui il giovane avrebbe avuto una simpatia per i Mele, storici avversari dei Marfella. Quest’ultimi temendo possibili ripercussioni in un’area di loro pertinenza (e cioè la creazione di una base di spaccio nella loro roccaforte) decisero di punirlo con la morte, lui incensurato ed estraneo a fatti di malavita. A escludere l’appartenenza di Raffaele alla camorra era stato proprio il fratello, Gianluca: ascoltato dagli inquirenti successivamente all’agguato, aveva anche detto di essere stato fermato in strada da affiliati del clan Marfella (tra cui proprio Maurizio Legnante), che lo avrebbero minacciato perchè credevano che gestisse una piazza per conto suo.

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