Negli ultimi tempi nel nostro territorio si sta assistendo a un fenomeno sempre più preoccupante: un numero crescente di giovani scende in strada armato di coltello. Non si tratta più solo di episodi isolati, ma di un trend che racconta il disagio, la rabbia e la paura di una generazione che ha smarrito i punti di riferimento. Il recente caso di Nicola Mirti, il 18enne accoltellato da un coetaneo su un lido a Varcaturo, è solo l’ultimo anello di una catena inquietante.
Prima di ritrovarci a piangere l’ennesima vittima, dobbiamo chiederci: cosa spinge un adolescente a uscire di casa con un’arma? La risposta non è semplice, ma affonda le radici in una combinazione pericolosa: mancanza di prospettive, esaltazione della violenza nelle subculture digitali, modelli criminali veicolati dai social media e fragilità dei legami educativi e familiari. In questo vuoto, le armi diventano simboli di identità, strumenti di difesa o scorciatoie per sentirsi forti.
Armi ai minori, la proposta di legge: carcere, multe e formazione obbligatoria nelle scuole
Il Partito Democratico ha presentato una proposta di legge per vietare la vendita di armi e coltelli ai minori, anche online, introducendo l’articolo 696-bis del codice penale. La norma prevede fino a tre anni di carcere e multe fino a 10.000 euro per i commercianti che vendono armi a under 18, punendo anche chi agisce per negligenza. Particolare attenzione è rivolta al commercio digitale, con sospensione automatica della licenza in caso di condanna. La proposta include anche l’obbligo di percorsi educativi nelle scuole per prevenire la violenza giovanile e promuovere un uso consapevole delle armi.
Cosa deve dirci il caso di Nicola Mirti
Il caso di Nicola Mirti mette in luce anche una realtà scomoda: l’abbassamento dell’età in cui i giovani entrano in contatto con la violenza armata. Le istituzioni, la scuola, le famiglie e i media devono interrogarsi profondamente. Non bastano le telecamere, le ronde o le pene più dure. Serve un lavoro culturale, educativo e sociale capillare. Serve ascolto, prevenzione e attenzione. Occorre restituire ai ragazzi un motivo per credere in qualcosa, per investire in sé stessi senza sentirsi costretti a esistere attraverso la violenza.
Il sangue di Nicola Mirti chiede giustizia. Ma chiede anche consapevolezza. Perché non diventi solo un altro nome in un elenco che non dovrebbe mai esistere.