La madre separata non può pubblicare sui social media immagini del minore senza il consenso del padre. E ciò perché per Gdpr, il regolamento europeo sulla privacy, l’immagine del figlio è un dato personale e la diffusione un’interferenza illecita nella vita privata, mentre la legge italiana ha fissato a quattordici anni il limite dell’età fino alla quale serve l’accordo di entrambi gli ascendenti: il genitore pretermesso dall’altro, dunque, può ottenere la rimozione d’urgenza del video da TikTok perché sussistono sia il fumus boni iuris sia il periculum in mora. Di più, scatta l’astreinte: la donna paga 50 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento del giudice e per ogni violazione dell’inibitoria; il tutto su un conto corrente ad hoc intestato al minore.
È quanto emerge dall’ordinanza pubblicata dalla sezione civile del tribunale di Trani. Accolto il reclamo proposto dal padre contro il provvedimento adottato dal giudice monocratico. Sussistono infatti i presupposti per accogliere il ricorso proposto dall’uomo in base all’articolo 700 Cpc dopo che la ex ha postato su TikTok i filmati della figlia di nove anni. E ciò perché la condotta integra la violazione di plurime norme, nazionali eurounitarie e internazionali: dall’articolo 10 Cc sulla tutela dell’immagine fino alla convenzione di New York sulla tutela dei diritti del fanciullo, passando per Gdpr, secondo cui l’immagine del minore va pubblicata senza arrecare danno all’onore, al decoro e alla reputazione dell’interessato.
Senza dimenticare che postare un video sui social equivale a diffonderlo fra un numero indeterminato di persone, alcune delle quali potrebbero essere malintenzionati che tentano di contattare i bambini o ricavano immagini pedopornografiche con fotomontaggi da far circolare in rete. Nella sua ordinanza, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, nel caso in concreto il giudice spiega come non conta che il padre conosca il profilo TikTok della ex e via abbia accesso: dalla possibilità di vedere i video non si più desumere il consenso alla pubblicazione delle immagini. E la proposizione del ricorso, sia pure a qualche mese da quando sono stati postati i filmati, è espressione del dissenso dell’uomo. Né rileva la transazione intervenuta fra le parti che regola i soli aspetti patrimoniali, senza affrontare la questione dei social media.