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giovedì, Aprile 25, 2024
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Da Carbone a Salvatore Mancuso, i cinque ‘re dei narcos’ che inondano di cocaina il mondo

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Cinque. Come le grandi organizzazioni malavitose italiane. Cinque come le dita di un’unica mano pronta a inquinare il mondo con la polvere bianca. Le cinque ‘dita’ in questione sono gli intermediari del narcotraffico, i cinque maggiori a livello mondiale. Cinque personaggi capaci con un colpo di telefono di spostare carichi milionari di cocaina e determinare il destino di cartelli, clan, ndrine ma anche gli esiti delle guerre tra organizzazioni contrapposte. E’ questo per esempio il caso di Raffaele Imperiale, ‘mister Van Gogh’ (due quadri del pittore olandesi furono tra i beni sequestrati dalla Dda e riconducibili proprio al broker stabiese). La vita di Imperiale sembra uscire direttamente da una sceneggiatura Netflix: figlio di un facoltoso costruttore di Castellammare di Stabia, da ragazzo subì un sequestro lampo che non ha mai del tutto convinto gli inquirenti che seguirono il caso. Da ragazzo si trasferisce ad Amsterdam dal fratello: forse è lì tra i canali che capisce l’importanza di determinati canali. In terra olandese fu introdotto da un uomo dei Moccia a Elio Amato (il fratello di Raffaele, capo degli Scissionisti)  che si presenta come Giancarlo e prenota un carico da far arrivare a Secondigliano. Da lì in poi è l’ascesa di quel ragazzo di Castellammare che fa i milioni grazie all’organizzazione criminale creata da Paolo Di Lauro con sette soci (Raffaele Amato, Maurizio Prestieri, Rosario Pariante, Enrico D’Avanzo, Raffaele Abbinante, Gennaro Marino e Antonio Leonardi). Imperiale diventa il referente di Secondigliano: è colui che tratta direttamente coi cartelli. Talmente potente che quando scoppia la faida sia i Di Lauro che gli Scissionisti sanno bene che in base a chi sceglierà ‘o Lello verranno decisi gli esiti della contesa. Previsione che si concretizza quando Imperiale continua a rifornire la ‘scissione’ almeno fino al 2008 nella sua latitanza dorata di Dubai che dura ancora oggi.

L’altro profilo balzato agli onori delle cronache è quello di Bruno Carbone, classe 1962 di Giugliano. E’ lui il ‘gancio’ dei Nuvoletta-Polverino con il cartello di Cali. Si racconta che lì, in terra di Antioquia, ‘don Bruno’ sia di casa e che possa vantare contatti diretti con i vertici del gruppo fondato da Pablo Escobar Gaviria.

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Un altro personaggio di rilievo è sicuramente Salvatore Mancuso: di chiare origini italiane (il padre è originario di Sapri), è stato capo paramilitare colombiano, secondo in comando delle temibili Autodefensas Unides de Colombia. Il cronista Gianfranco Bonofiglio, profondo conoscitore dei legami tra ‘Ndrangheta e narcos colombiani, ha scritto che nell’inchiesta condotta dalla Dda di Reggio Calabria, denominata “Decollo”, nella quale sono stati emessi 159 mandati di carcerazione, si svelano gli intrecci fra esponenti di spicco della ‘Ndrangheta incaricati nell’intrecciare rapporti di collaborazione e di acquisto di ingenti partite di droga con il gruppo di Mancuso. Tramite l’Auc il narco avrebbe fatto arrivare, per come sostengono le carte processuali, al Porto di Gioia Tauro, qualcosa come circa 8 tonnellate di cocaina. Tale impressionante cifra esprime in modo compiuto quale si il peso ed il livello raggiunto dalla ‘Ndrangheta sulpiano planetario.  Il 15 agosto 2007, Salvatore Mancuso, ammette i suoi crimini alla corte colombiana seguendo un discorso che i suoi avvocati hanno fatto per precludere la sua estradizione negli Stati Uniti per traffico di droga. Mancuso deve rivelare le rotte dei traffici e i contatti per la droga per soddisfare completamente l’accordo. E nell’ambito della sua collaborazione, da non confondere con il ruolo di pentito che la giustizia colombiana non contempla, Mancuso conferma i suoi rapporti con emissari della ‘Ndrangheta. Il 15 agosto 2007 infatti ammette i suoi crimini alla corte colombiana seguendo un discorso che i suoi avvocati hanno fatto per precludere la sua estradizione negli Stati Uniti per traffico di droga.

Altro tessitore di rapporti sulla tratta Colombia-Calabria è sicuramente Roberto Pannunzi, romano di nascita ma calabrese di adozione (per lui aveva una predilezione don Antonio Macrì, capobastone di Siderno). Il nome di Pannunzi, detto ‘Bebè’ spunta in tutte le grandi operazioni antimafia condotte dalla Dda di Reggio Calabria, inchieste in cuoi vengono ricostruiti gli spostamenti di tonnellate e tonnellate di cocaina. È un ex dipendente Alitalia che da ragazzo, con la famiglia, si è trasferito in Canada. Qui, oltre che con gli affiliati della cosca Macrì, conosce Salvatore Miceli, siciliano, punto di riferimento di Cosa Nostra in quegli anni per il traffico degli stupefacenti. I due diventano amici e attraverso Miceli, Pannunzi ottiene da Cosa Nostra eroina raffinata a Palermo. Restano saldi i contatti con le cosche calabresi: Pannunzi è l’uomo che reinveste, facendoli fruttare, i soldi dei sequestri in Aspromonte. Bebè finisce in manette la prima volta nel 2004 a Madrid, insieme al primogenito Alessandro. Nel 2009, in occasione del secondo arresto, viene fermato dalla polizia colombiana a cui offre, prima di venire ammanettato,un milione di euro in contanti per lasciarlo andare via. Dopo pochi mesi viene arrestato di nuovo, a Bogotà e portato direttamente in Italia. Si narra che è stato una delle ultime persone ad aver visto Gaetano Badalamenti prima dell’arresto di ‘zu Tano’.

L’ultimo profilo, non meno importante, è quello di Nicola Assisi, calabrese classe ‘58 emigrato a Torino negli anni Ottanta, ancora latitante. Riesce a sfuggire alle maglie della giustizia da oltre vent’anni. Assisi è stato il delfino di Pasquale Marando, originario di Platì, che per vent’anni ha gestito i traffici internazionali di cocaina fino a quando nel 2002 è stato eliminato con il metodo della lupara bianca. Come ricordato in una brillante inchiesta dell’Espresso, Assisi si muove tra Portogallo e Brasile dove i narcos delle favelas lo chiamano ‘il nipote’. Assisi ha rapporti privilegiati con il gruppo criminale più pericoloso del Brasile, il Premier comando capital (Pcc), oltre che con i cartelli colombiani attivi in Perù con cui organizzano grosse spedizioni verso la Calabria. Il Pcc condivide con i colombiani e i messicani il controllo del cosidetto Cono Sur, la parte più meridionale dell’America Latina anche detta Narcosur per la crescente importanza che riveste per il traffico di droga. Da qualche anno le polizie di mezzo mondo gli danno la caccia, ma per tutti ormai ‘il nipote’ è diventato un fantasma.

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