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Faida dei morti bruciati, condanne e assoluzioni in Appello per i Moccia: condanna cancellata per Iazzetta

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Omicidi e morti bruciati nell’hinterland, non sono mancate le sorprese nel processo d’appello contro i ‘colonnelli’ del clan Moccia per tre omicidi finalizzati, secondo la Procura, a rafforzare il potere dei Moccia sul territorio. Assoluzione per il Filippo Iazzetta per l’omicidio di Mario Pezzella assassinato il 17 gennaio 2005 a Cardito. Per questo delitto vi erano già sentenze definitive di condanna nei confronti di affiliati al clan Moccia e al federato gruppo La Montagna di Caivano. Per la Procura Filippo Iazzetta era il mandante dell’omicidio e colui che diede l’autorizzazione per conto dei Moccia per l’esecuzione materiale del raid. Accuse totalmente ribaltate dalla Corte d’Assise d’Appello di Napoli (III sezione) che ha pienamente accolto la tesi difensiva dei legali di Iazzetta, gli avvocati Claudio Davino, Nicola Quatrano, che hanno dunque portato all’assoluzione del loro assistito che in primo grado aveva invece rimediato il carcere a vita. Confermata invece la condanna all’ergastolo per la faida dei morti bruciati per Francesco Pezzella, fratello di Mario, pena rideterminata invece per Nicola Luongo difeso dall’avvocato Luca Pagliaro. Nicola Luongo, detto “’o killer”, era accusato insieme ad Francesco Pezzella di essere responsabile dell’omicidio di Aniello Ambrosio, e durante il processo decise a sorpresa di ammettere gli addebiti. Il presunto sicario, davanti ai giudici della terza sezione della corte di assise di appello di Napoli, presidente Melillo,rese una dichiarazione spontanea confessando il delitto, chiedendo scusa ai parenti della vittima, ai giudici e al pubblico ministero. Aniello Ambrosio, anch’egli ritenuto appartenente ai clan della zona, fu ritrovato carbonizzato il 21 febbraio 2014 in un’auto nelle campagne di Grumo Nevano. I coimputati Francesco Pezzella, Filippo Iazzetta e Francesco Favella hanno invece fin qui fatto sempre scena muta, senza mai rendere alcuna dichiarazione.

L’omicidio di Immacolata Capone

Immacolata Capone fu uccisa a Sant’Antimo il 17 marzo 2004. La donna, all’epoca, svolgeva l’attività di imprenditrice nel campo del movimento terra nei comuni di Casoria ed Afragola. Il pentito Michele Puzio, aveva confessato la sua partecipazione al delitto e, a seguito di quanto da lui riferito, il gip aveva ritenuto l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza per il concorso materiale o morale nell’omicidio nei confronti di altri appartenenti apicali del clan Moccia e in particolare Filippo Iazzetta, Francesco Favella “‘o cecce” e Giuseppe Angelino, alias “Peppe ‘o lupo”, poi scarcerato dal Riesame. Il clan Moccia volle punire la donna perché ritenuta mandante dell’omicidio del marito Giorgio Salierno, a sua volta fiduciario dei vertici dell’organizzazione, e al fine di impedire il rafforzamento dei legami economici fra l’attività imprenditoriale facente capo a Imma Capone e clan diversi dal clan Moccia. Francesco Favella si è visto confermare l’ergastolo rimediato in primo grado.

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