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venerdì, Marzo 29, 2024
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Omicidio a S. Antimo, clan Moccia a processo: tutte le contraddizioni in aula del pentito Di Domenico

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E’ entrato nel vivo il processo per l’omicidio di Immacolata Capone, uccisa a Sant’Antimo il 17 marzo 2004.La vittima, all’epoca, svolgeva l’attività di imprenditrice nel campo del movimento terra nei comuni di Casoria ed Afragola.  Per questo delitto furono arrestati nel luglio del 2020 Filippo Iazzetta, Francesco Favella, Giuseppe Angelino. Secondo l’accusa i Moccia volevano punire la donna, perché ritenuta mandante dell’omicidio del marito Giorgio Salierno, a sua volta fiduciario dei vertici dell’organizzazione. Dalle ulteriori indagini è risultato confermato il movente nella volontà del clan Moccia di «punire» la donna perché ritenuta mandante dell’omicidio del marito Giorgio Salierno, a sua volta fiduciario dei vertici dell’organizzazione, e al fine di impedire il rafforzamento dei legami economici fra l’attività imprenditoriale facente capo a Immacolata Capone e clan diversi dal clan Moccia. Nel corso del dibattimento però le accuse sostenute dai collaboratori di giustizia nei confronti dei vertici dei Moccia hanno fatto emergere più di una contraddizione. Elementi fatti valere in sede di Riesame con l’annullamento dell’ordinanza per Filippo Iazzetta.

Altra vicenda ricostruita nell’ordinanza per l’omicidio Capone è l’omicidio di Mario Pezzella, fratello di Francesco ras dei comuni di Cardito e Frattamaggiore avvenuto il 17 gennaio del 2015 a Cardito. La Procura, basandosi sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ha approfondito la ricostruzione della fase decisionale che ha portato all’omicidio, e sono emersi gravi indizi di colpevolezza a carico di Iazzetta, quale mandante del delitto e in particolare quale soggetto che aveva dato l’autorizzazione per conto del clan Moccia per l’esecuzione dello stesso. In realtà tra le dichiarazioni su cui si sono accesi i riflettori spiccano quelle di Marcello Di Domenico, ex capo dell’omonimo gruppo di Nola. Un pentimento controverso il suo visto che l’ex boss nei suoi primi verbali ha tirato in ballo il fratello Ciro per poi fare ‘marcia indietro’ quando seppe della decisione di quest’ultimo di collaborare con la giustizia. Un particolare evidenziato dalla difesa che, durante il dibattimento, ha messo alle corde Di Domenico su un’altra vicenda, e cioè sui ruoli dei gruppi dell’area nord e su chi avesse potere decisionale. In un passaggio Di Domenico tira prima in ballo Iazzetta per poi specificare che per l’omicidio di Mario Pezzella, essendo stato commesso a Cardito, rispondeva il gruppo orbitante in quell’area. Tuttavia è stato evidenziato in aula come poco prima lo stesso Di Domenico abbia fatto emergere le figure di Michele Puzio (ex colonnello dei Moccia prima di pentirsi) e Giuseppe Angelino che avevano chiari interessi in quella zona.

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La difesa precedentemente aveva chiesto:«Nel verbale della scorsa udienza ha detto che su quel territorio le estorsioni – e l’ha detto anche oggi – le discutevano Angelino e Puzio Michele, quindi era scoperto perché
non c’era Pezzella, ma, in realtà, era già coperto dalle attività estorsive di Angelino e
Puzio». Altre contraddizioni emerse e che rimandano alle modalità della gestione dei collaboratori di giustizia quelle relative al ‘doppio pentimento’ di Di Domenico che ad un certo punto ritrattò la sua collaborazione per poi riprenderla tempo dopo con la concessione di altri 180 giorni, una collaborazione durata 11 mesi in palese violazione della normativa sui collaboratori di giustizia. Sempre nel corso del dibattimento è emerso come spesso i collaboratori di giustizia siano codetenuti nelle stesse celle (quale il caso di Scafuto e di Puzio), elemento che, come evidenziato dalla difesa, può inquinare alla radice la genuinità delle dichiarazioni prima del loro esame in dibattimento. Discrepanze emerse in un processo il cui esito è ancora tutto da scrivere.

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