Niente più status di pentito per Pasquale Scotti, il superkiller di Raffaele Cutolo catturato in Brasile dopo 30 anni di latitanza durante cui si era fatto una famiglia sotto altra identità. Per la Dda di Napoli, che ha fatto la richiesta di eliminare il programma di protezione, le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia non sono utili. Adesso si attende che la richiesta dell’Antimafia venga accettata, dopo di cui Scotto sarà considerato un detenuto come gli altri.
Due anni e mezzo fa, Scotti aveva chiesto di collaborare con lo Stato, decidendo di pentirsi pochi mesi dopo il suo rientro in Italia. E a dicembre del 2016 – passati i canonici sei mesi offerti a chi decide di raccontare tutto alle istituzioni – era stata la Dda di Napoli ad accordare a Scotti un programma di protezione definitivo, con tanto di regime carcerario differenziato per ovvi motivi di sicurezza.
Due anni dopo, e siamo alla cronaca di queste ultime settimane, la storia sembra essere cambiata. Tanto da spingere la Dda a scrivere alla commissione centrale del Ministero dell’Interno, l’organo che sovrintende alla gestione dei collaboratori di giustizia, per ottenere la revoca del programma di protezione. Chiaro il ragionamento della Procura partenopea, alla luce di una serie di verifiche condotte in questi due anni, in relazione al materiale di conoscenze offerte da Scotti al tavolo delle indagini: nulla di particolarmente utile, nulla di decisivo per portare avanti processi a carico di soggetti attualmente in vita; per svelare retroscena di fatti legati a crimini passati o per chiudere i conti con capitali mafiosi sparsi per il mondo. Insomma, chi si aspettava una svolta significativa nel corso di indagini vecchie e nuove – visto anche il peso criminale dell’ex uomo di fiducia di Raffaele Cutolo, ai tempi della Nco – è rimasto deluso.