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mercoledì, Maggio 8, 2024
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Sesso in carcere per i detenuti, la Consulta boccia il divieto

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La Consulta ha dichiarato illegittimo l’articolo 18 del testo dell’ordinamento penitenziario nella parte che non consente: “Che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia”.

Come riporta l’Huffingtonpost la Corte, infatti, ha precisato che questi incontri possono avvenire solo quando: “Tenuto conto del suo comportamento in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie”.  Però ai detenuti al 41 bis questa possibilità sarà comunque esclusa.

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“AMARE E’ UN DIRITTO”

Secondo la Corte amare è un diritto di tutti, lo stesso può essere limitato ma non completamento cancellato. “L’ordinamento giuridico – ha affermato la Corte – tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società”.

La norma che impedisce del tutto l’affettività in carcere è, quindi, incostituzionale perché contrasta con l’articolo 3 (quello che disciplina il principio di eguaglianza), con l’articolo 27 (che sancisce il principio di rieducazione della pena): “La norma censurata, nel prescrivere in modo inderogabile il controllo a vista sui colloqui del detenuto, gli impedisce di fatto di esprimere l’affettività con le persone a lui stabilmente legate, anche quando ciò non sia giustificato da ragioni di sicurezza”, spiegano ancora dalla Corte.

GLI ORDINAMENTI EUROPEI SULL’AMORE IN CARCERE

Tutto ciò è contrario alle convenzioni internazionali: “Rammentato che una larga maggioranza degli ordinamenti europei riconosce ormai ai detenuti spazi di espressione dell’affettività intramuraria, inclusa la sessualità, la Corte ha ritenuto altresì violato l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, per il difetto di proporzionalità di un divieto radicale di manifestazione dell’affettività “entro le mura”. Poi la raccomandazione al legislatore di pronunciarsi: “Pur con la gradualità eventualmente necessaria”.

SESSO IN CARCERE? PER IL SAPPE “MEGLIO I PERMESSI PREMIO AI DETENUTI PIU’ MERITEVOLI IN UN CONTESTO DI RIMODULAZIONE DEL SISTEMA DELL’ESECUZIONE DELLA PENA”

“Il sesso in carcere è una previsione inutile e demagogica, anche in termini di sicurezza stessa del sistema.  Si introduca piuttosto il principio di favorire il ricorso alla concessione di permessi premio a quei detenuti che in carcere si comportano bene, che non si rendono cioè protagonisti di eventi critici durante la detenzione e che lavorano e seguano percorsi concreti di rieducazione. E allora, una volta fuori, potranno esprimere l’affettività come meglio credono”.

Lo afferma Donato Capece, segretario generale del SAPPE, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, commentando sentenza n. 10 datata 2024 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia.

“Certo fa riflettere il fatto che, in una situazione penitenziaria nazionale endemicamente complessa in cui anche gli interventi di edilizia sono assai contenuti, assuma priorità la previsione di destinare stanze o celle per favorire il sesso ai detenuti”, prosegue il leader del SAPPE, per il quale “i nostri penitenziari non possono e non devono diventare postriboli così come i nostri Agenti di Polizia Penitenziaria non devono diventare ‘guardoni di Stato”.

Per il primo Sindacato del Corpo altri sarebbero gli interventi urgenti per fronteggiare la costante situazione di tensione che si vive nelle carceri italiane: “Si potrebbe ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli”,: “il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della “messa alla prova”; il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”, conclude il leader del SAPPE. “Nell’ambito delle prospettive future occorre dunque che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema, anche perché il sovraffollamento impedisce di fatto la separazione dei detenuti. E la Polizia penitenziaria, che riteniamo debba connotarsi sempre più come Polizia dell’esecuzione penale oltreché di prevenzione e di sicurezza per i compiti istituzionali ad essa affidati dall’ordinamento, è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative”.

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